L’Opera dei pupi siciliani… patrimonio dell’umanità

opera dei pupiTra i miei primi ricordi d’infanzia ci sono… i pupi siciliani. Nelle calde sere d’estate o nei lunghi pomeriggi invernali, mio nonno, spesso, mi raccontava delle famose gesta dei paladini di Francia, del re Carlo Magno, dei duelli di Orlando e Rinaldo, degli amori della bella Angelica, di Bradamante e di Agricane, del fedele e astuto Famiglio, dei tradimenti di Gano di Maganza, della battaglia di Montalbano e della mitica Durlindana, la temibile spada di Orlando. Ed era uno spasso sentirgli fare persino il verso dei pupari che recitavano, sempre, le stesse identiche battute, che lui, tante volte, aveva sentito nella sua gioventù...
Così, preso dalla nostalgia e dalla curiosità, ho voluto approfondire la storia dei pupi siciliani, di una delle più belle e interessanti tradizioni culturali della nostra terra, famosa in tutto il mondo, e dichiarata dall’Unesco, nel 2001, “patrimonio orale e immateriale dell’umanità”.

La presenza dei pupi in Sicilia, come ci informa Giuseppe Pitrè (illustre antropologo siciliano), risale alla fine del ‘700. Inizialmente si trattava di pupi rudimentali dalle rozze armature, l’evoluzione e la definitiva affermazione avvenne, però, tra la seconda metà del sec. XIX e la prima metà del sec. XX. All’inizio dell’Ottocento, Giusto Lodico, realizza un’opera in quattro volumi, tratta dal ciclo epico – cavalleresco della storia dei paladini di Francia, che rappresenta ancora oggi il repertorio tradizionale dell’Opera dei pupi.
Nell’isola esistono due scuole principali dell’Opera dei pupi: la scuola catanese che ha influenzato la Sicilia orientale, e quella palermitana che si è diffusa in tutta la Sicilia occidentale, diverse tra loro sostanzialmente per la tecnica di manovra e la struttura del pupo. Secondo la tecnica della scuola catanese, il manovratore fa muovere i pupi stando all’impiedi su un ponte chiamato “banco di manovra”, impugnando i due ferri che attraversano rispettivamente la testa e la mano destra del pupo. Il manovratore della scuola palermitana, invece, si nasconde lateralmente dietro la scena di fondo, e con dei ferri collegati al pupo, esegue le manovre.

Strutturalmente il pupo catanese ha le ginocchia rigide e la spada fissa nella mano destra, un’altezza di un metro e cinquanta, un peso di trenta chilogrammi, ed è più semplice da manovrare. Il pupo palermitano, invece, è alto ottanta centimetri circa, ed è strutturalmente più articolato, ha le ginocchia che si piegano e può sguainare la spada.
I pupari curavano lo spettacolo e le sceneggiature, e con un timbro di voce particolare riuscivano a dare suggestione, ardore e pathos alle varie scene rappresentate. Pur essendo molto spesso analfabeti, i componenti di queste piccole compagnie, che giravano di paese in paese, conoscevano a memoria opere come la Chanson de Roland, la Gerusalemme liberata e l’Orlando furioso.
Spesso la rappresentazione si chiudeva con una farsa, uno spettacolo di marionette di tono licenzioso e buffo, con temi tratti dai personaggi delle tradizioni favolistiche siciliane.
I pupi siciliani evocano, sicuramente, immagini d’altri tempi, di spettacoli di piazza, di minuscoli teatrini polverosi, di pomeriggi estivi passati serenamente, fra l’allegro vociare di piccoli e grandi, il verso altalenante del puparo, il rumore delle spade e lo sfavillante luccichio delle armature. Richiamano i sogni e le passioni dell’infanzia, semplice e spensierata, dei nostri nonni, vissuta alla Piana di Catania, tra i contratti di gabella e il mito dell’impero.

Ancora oggi sono in attività alcune importanti famiglie di pupari che, con grandi sacrifici e difficoltà, cercano di mantenere viva la tradizione, proponendo rassegne teatrali e rappresentazioni per turisti. Tra le storiche famiglie di pupari troviamo Mimmo Cuticchio, Argento, Mancuso e Greco a Palermo; i fratelli Napoli, Crimi e Trombetta a Catania; Pennisi, Macrì e Grasso ad Acireale; Vaccaro-Mauceri a Siracusa; Canino a Partinico (PA); Profeta a Licata (AG).
L’origine della scuola catanese si fa risalire a Giovanni Grasso (1792-1863) ed a Gaetano Crimi (1807-1877). La compagnia più importante della città etnea è quella dei fratelli Napoli, fondata nel 1921 da Gaetano Napoli, ed oggi, giunta alla quarta generazione, senza interruzione, rappresenta la più significativa realtà del teatro dei pupi di tipo catanese. La compagnia, in origine, aveva sede in via Consolazione, nel quartiere del Borgo, in seguito si è trasferita nei pressi di piazza Federico II.

Anche ad Acireale esiste un’antica e fiorente tradizione dell’Opera dei pupi, che per tecnica di manovra e struttura del pupo, si collega alla scuola catanese, anche se presenta delle differenze circa le dimensioni del pupo e del banco di manovra. I pupi di Acireale hanno un’altezza che varia da un metro ad un metro e dieci centimetri, ed un peso tra i quindici e i vento chilogrammi. I ferri che consentono la manovra dei pupi sono più lunghi, essendo il banco di manovra più alto di quello catanese. Questa caratteristica conferisce una maggiore profondità prospettica tra pupo e scena di fondo.

Nel 1887 il puparo acese, Don Mariano Pennisi, fondò in via Tono il primo teatro dell’Opera dei pupi. I suoi spettacoli apparivano originali rispetto alla scuola catanese e palermitana poiché l’arte dei combattimenti, l’impostazione scenica e le dimensioni dei pupi, rivelavano un’autonoma capacità tecnica e recitativa. Il crescente successo spinse il Pennisi a spostarsi, nel 1928, in una sala più capiente, in via Alessi. Nel 1934 il testimone passò al figlio adottivo Emanuele Macrì il quale, all’apice della carriera artistica, esportò i suoi spettacoli anche all’estero. Scrittori, registi, giornalisti, uomini politici restavano ammirati dalla spontaneità della sua arte, descrivendola in termini entusiastici. Il segreto di tanto successo veniva rivelato dallo stesso Macrì: “Vi prego di credere che i miei pupi non sono fatti di legno, ma sono “uomini” veri, di carne, di sangue, di muscoli, di cuore”. Gli allievi del Macrì hanno proseguito la sua opera ed ancora oggi mantengono viva la tradizione di famiglia. Nel 1983 la Soprintendenza ai BB. CC. AA. di Catania ha dichiarato che il loro teatro di Acireale “… costituisce una testimonianza di rilevante interesse culturale in quanto unico esempio di teatro stabile, la cui attività rimane legata alla tradizione siciliana dell’Opera dei pupi”. Oggi la struttura teatrale ospita “La Mostra della Raccolta del Teatro Pennisi-Macrì di Acireale, dei pupi e delle attrezzature di teatri siciliani”. L’ampia raccolta comprende pupi, teste di pupi, cartelloni, panche ed attrezzature teatrali.

Angelo Battiato

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