Il voto di marzo. Un necrologio alla speranza

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Un necrologio è sempre meglio di una scusa qualsiasi, di una giustificazione inventata, di un'analisi politica indisponente. Voglio essere antipatico e maligno, spietato e deluso nel contempo, voglio esprimere tutta la mia profonda insofferenza. Il “caimano” ha vinto! Su questa affermazione non esistono contro indicazioni ne appelli o orpelli su cui discutere. L'onda lunga del “governo del fare” ha vinto in dispetto di chi l'aveva dato per spacciato, contro chi, me compreso, nutriva la speranza di vederlo ridimensionato, accartocciato sulle sue presunzioni. Il popolo elettore ha deciso! E' lui il nuovo duce, se pur a rimorchio nel carroccio della Lega! E’ lui a condurre l'Italia verso un mondo a noi sconosciuto! Per noi che abbiamo sognato un destino diverso per l'Italia, toccherà chiudere la valigia ed intraprendere un nuovo viaggio, un nuovo sogno da rincorrere? La verità è che siamo stanchi di questo tragico ripasso della nostra storia politica. Abbiamo percorso molta strada in tutti questi anni, per poi ritrovarci nell'identico punto di partenza.

Abbiamo lottato per più di 60 anni contro un partito che ritenevamo la causa dei ritardi storici italiani e, adesso, infondiamo certezza che era il meno peggio. L’Italia con Berlusconi è diventata un Paese irriconoscibile, la sua storia democratica quasi azzerata. Questo necrologio va celebrato come l’evento estremo ed ineluttabile dell’esistenza stessa di ogni logica razionale, cui voglio rappresentare il lato oscuro della politica. L’Italia è, e resta, il paese di Machiavelli! Il Valentino sosteneva che: ”i mezzi del potere sono "frode e forza" e che "quelli che per poca prudenza o per troppa sciocchezza, fuggono questi modi, nella servitù sempre e nella povertà affogano; perché i fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; né mai escono di servitù se non gli infedeli e audaci, e di povertà se non i rapaci e fraudolenti”. Quindi, dobbiamo lasciamo che sia il machiavellismo la leva del fare? Da cittadino che da molto tempo non si identifica più in quello che una volta era definito l'arco costituzionale, né si identifica con l'extra parlamentarismo, vorrei fare, possibilmente in compagnia, l’autopsia di questa parte politica morta nel nostro paese, di questo complicato rompicapo che è la volontà popolare.

Tentando di capirne le cause che hanno portato al decesso della politica e della democrazia. A chi avesse un minimo di capacità di analizzare i simboli basterebbe l’immagine di Renata Polverini che in piazza, a un passo dalla vittoria, esibisce corna e cornetto rossi. Vi è rappresentato perfettamente il volto plebeo e provinciale della schiacciante vittoria della destra, non solo nel Lazio. Dunque, sarebbe sufficiente soffermarsi su quella immagine per cogliere la mutazione antropologica subita dalla società italiana. Una mutazione che ingloba anche il rigurgito del passato: il ritorno di tratti tipici della biografia del paese, il qualunquismo, il plebeismo, l’individualismo, l’astensionismo elettorale, la noncuranza della democrazia, la debolezza del senso civico, il disprezzo della cultura e degli intellettuali. Il tutto inglobato nella cornice delle trasformazioni strutturali del neoliberismo globalizzato e delle reazioni ad esse collegate. Il leghismo è, infatti, anzitutto reazione alla globalizzazione: esaltazione del localismo e del protezionismo, sollecitazione dello spirito plebeo, rifiuto della pluralità culturale, socializzazione del rancore popolare, capacità d’indirizzarlo verso capri espiatori.

Le ragioni della disfatta del centrosinistra e ancor di più della sinistra che si vuole alternativa, con l’eccezione del risultato pugliese, stanno anzitutto nell’incapacità di comprendere e analizzare questa mutazione. Non aver capito o voluto capire a suo tempo che la Lega Nord andava esercitando una pedagogia di massa e per le masse è il peccato più grave della sinistra. La Lega è l’unico partito italiano strutturato nel territorio è capace di interagire con la gente per creare opinione. La secessione del Nord (non più solo del Nord Est) non ha più bisogno d’essere proclamata o minacciata: sta nei fatti. Il Piemonte, la regione simbolo della storia operaia, oggi governata da un avvocato leghista, racconta non solo delle trasformazioni subite dalla classe operaia, ma anche della forza egemonica della cultura leghista, al di là della stessa Lega Nord. Questo è il mio modesto necrologio di commemorazione alla speranza ma anche alla certezza che i tempi peggiori debbono ancora arrivare.

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