Il ritorno a casa

Il Lunedì, 13 settembre, mi sveglio con l'idea di partire in
giornata, sono scomparsi i dubbi, le paure, e mi reco nella scuola dove avevo
lasciato le armi. Incontro il tenente Costa ed altri allievi ...

IL RITORNO A CASA

Il Lunedì, 13 settembre, mi sveglio con l'idea di partire in
giornata, sono scomparsi i dubbi, le paure, e mi reco nella scuola dove avevo
lasciato le armi. Incontro il tenente Costa ed altri allievi, che affermano di
essersi presentati alle autorità italiane. Con Turi, Micio, e Peppino ci
rechiamo a Monte Sacro, dove incontriamo altri allievi che si sono presentati
alle autorità militari. Noi volevamo assolutamente partire e decidiamo di
partire la stessa sera con un treno che partiva dalla stazione Termini alle ore
17.40 per Sulmona.
A questo punto voglio fare una riflessione sui repubblicani e sui partigiani.
Non parlo degli adulti, ormai esonerati dal servizio militare per motivi d'età,
i quali hanno fatto una libera scelta politica ed ideologica. Dirò qualcosa sui
giovani e soprattutto sui militari sbandati in seguito alle note vicende della
sconfitta e delle soluzioni scelte dal re e da Badoglio. Soprattutto dei
militari sbandati che, come me, non sapevano quale scelta fare. Scelta difficile
che nella maggioranza dei casi non era politica, né ideologica. Non perché
avessero idee chiare sulle questioni politiche come si presentavano in quei
frangenti, ma motivi più forti, irrinunciabili, coinvolgenti come le ragioni
della sopravvivenza. Un militare sbandato, senza un punto d'appoggio che lo
mettesse al riparo della fame, cosa può desiderare come prima necessità?
Scegliere fra repubblicani o partigiani, oppure scegliere tra la sopravvivenza e
la fame? Per sopravvivere si orientavano verso organizzazioni presenti nel luogo
che offrivano migliori garanzie d'una scodella di riso e di un tozzo di pane.
A Roma erano servizi militari vicino a Badoglio e al re, ma subito dopo la fuga
del re i servizi militari per una naturale predisposizione all'adattamento alla
realtà delle cose si predisposero ad un accomodamento con le forze tedesche. E
i militari della zona di Roma furono obbligati alla scelta repubblicana per un
tozzo di pane, come al nord dove maggiori e più affidabili erano le brigate
partigiane fu superiore necessità aggregarsi ai partigiani. Con ciò non voglio
affermare che tutti i brigatisti del nord, come tutti i repubblicani fossero
stati costretti dalla fame a scegliere i più vicini e i più sicuri per la
sopravvivenza, ma che ci sia una maggioranza che abbia fatto la scelta per il
tozzo di pane è cosa certa. Io, se fossi rimasto a Roma, avrei scelto di
arruolarmi nelle forze armate italiane con gli sviluppi prevedibili e non per
simpatie politiche o ideologiche. Solo, come ho specificato sopra, per
sopravvivere. Quanti sono stati i militari, e forse i civili che hanno
subordinato la scelta alla sicurezza del vitto o alle maggiori probabilità di
aver salva la vita? Gli storici nell'esprimere un giudizio sulle brigate rosse o
bianche, o sui repubblicani, hanno tenuto conto di quelle e di altre variabili?
Ormai decisi a partire, io, Peppino di zio Antonio, Turi Candullo, Pietro
Privitera e Micio Nicotra, informati dell'orario dei pochi treni che partono
dalla stazione Termini, decidiamo di partire la sera di Lunedì 13 settembre
alle ore 17.40 per Sulmona. Viene scelta la casa di Antonio Rasà, come luogo di
riunione da dove, accompagnati da mio cugino Vincenzo Bruno e Giuseppe Nicotra (collodutri)
entrambi della polizia, ci recammo alla stazione centrale. Tutti nel dividerci
avevamo gli occhi umidi di lacrime timorosi e preoccupati per le incognite del
viaggio che si stava intraprendendo. Alla stazione troviamo, come era
prevedibile il treno affollatissimo di ex militari che si dirigevano al sud.
Tutti senza biglietto, noi compresi. A stento riusciamo a trovare il posto all'impiedi.
Per nostra buona ventura arriviamo alla stazione con più di due ore di anticipo
rispetto all'orario prestabilito. Il treno per non so quali motivi parte alle
ore 15.40. Una partenza fortunosa, faticosa e dolorosa. Gli ultimi saluti con il
palmo delle mani, tra noi sul treno e loro sulla panchina furono accompagnati da
grossi goccioloni di lacrime che scendevano copiose sulle guance. Non volute da
noi ma caparbiamente libere e decise.
Il treno, a carbone, arrivava sbuffando
nelle salite, scorreva veloce in pianura con sollievo di tutti i viaggiatori.
Alle ore 19 si fermò nella stazione di Tivoli. Più di tre ore di viaggio sono
troppe per una distanza di una trentina di km. Cosa si poteva pretendere da un
treno a carbone enormemente carico, in un percorso che non so per quali motivi
faceva spesso fermate in stazioni di poca importanza? Pertanto si giunse a
Tivoli alle ore 19, dove il treno rimase fermo sino alle ore 2.30 di notte.
E
quando si parte nella notte profonda, dopo un susseguirsi di conversazioni
agitate, gridate accompagnate da bestemmie ed insulti tra il capostazione ed i
macchinisti, si parte con un treno che procede lentamente, che con continue
fermate anche in piena campagna, e si arriva a Roviano all'alba. Il treno resta
fermo sino alle ore 11.00. Quando i macchinisti decidono di partire, osservano
prima la lunghezza del treno, contano il numero dei vagoni e considerando anche
l'affollamento e le ripide salite del percorso, decidono di lasciare nella
stazione una metà di vagoni e partire con l'altra metà di vagoni verso
Tagliacozzo, dove lasciavano i vagoni e ritornavano indietro a Roviano a
prendere i vagoni lasciati. Noi del gruppo che facevano parte dei vagoni
lasciati in stazione siamo rimasti a Roviano in attesa del ritorno della
locomotiva. Nel frattempo ci allontaniamo dalla stazione e nelle campagne
circostanti troviamo una vigna carica d'uva. Un occasione migliore per mitigare
la fame non ci poteva capitare. Ci rimpinzammo d'uva mentre Peppino preferì
andare in un paese dove trovò del pane per sè e per noi. Ci portò un kg di
pane e un po' di marmellata. Con quel pane e con quella marmellata completammo
il nostro pasto della giornata. Ormai sazi tentammo di procurarci dell'altro
pane ritornando in paese io, Peppino e Pietro. Dopo un lungo giro in paese,
chiedendo casa per casa un po' di pane anche comprato, ritornammo alla stazione
a mani vuote. Tornata indietro la locomotiva si riparte per Tagliacozzo, dove
vengono agganciati gli altri vagoni e si continua in direzione di Sulmona dove
si arriva alle ore 18.00 per le continue soste del treno lungo il tragitto. La
stazione di Sulmona era deserta e semidistrutta dai bombardamenti. Non c'erano
uffici aperti al pubblico né impiegati. Tuttavia dalle rovine si poteva dedurre
che la stazione doveva essere di una notevole importanza. Decidiamo di andare in
paese che dista poco più di 10 minuti di strada. Nella prima casa che
incontriamo lungo la strada chiediamo un po' d'acqua per lavarci, ci viene
negata, ma ci indicano a poca distanza un ruscelletto. In questo ci laviamo
dalla polvere e dal fumo. Poi andiamo in giro in cerca di roba da mangiare.
Troviamo delle mele e riempiamo lo zaino di Pietro, che è quasi vuoto. Poi ci
rechiamo in paese in cerca di pane. Troviamo una latteria e con quei pochi
spiccioli che ancora avevamo in tasca compriamo mezzo litro di latte per
ciascuno di noi e in un fornaio tre pagnotte. Ritorniamo alla stazione e
troviamo il treno pieno zeppo da non riuscire a sistemarci nemmeno all'impiedi.
Il treno che doveva partire alle 20.30 non partirà. La partenza è stata
rimandata a domani alle ore 5.30. Riteniamo opportuno scendere dal treno e
sistemarci a terra in una stanza semidiroccata della stazione per dormire
durante la notte. Dormiamo profondamente sino alle ore 6.00. Fortunatamente il
treno non era ancora partito e ci sguinzagliamo alla ricerca di posti. Avanti,
in coda, al centro. Non c'è posto nemmeno sulle bretelle. Troviamo un vagone
carico di carbone e qualcuno afferma che deve essere attaccato al treno.
Ci
sistemiamo in un angolo dove il carbone era meno alto. Fatica inutile perché
dopo pochi minuti il fuochista ci dice che il vagone resterà nella stazione. Si
scende di corsa e si va alla ricerca di posti. In tutte le predelle ci sono
attaccate le persone, persino nella matrice non mancano ex militari
avvinghianti. Un ferroviere ci dice che debbono attaccare un'altra locomotiva
ferma a poca distanza. Come razzi la prendiamo d'assalto e ci sistemiamo nel
vagone carboniera che verrà agganciato alla nuova locomotiva. Stanchi e bagnati
come pulcini, ma soddisfatti di aver trovato i posti, si parte alle ore 9 per
Castel di Sangro. La ferrovia è in salita e il treno si ferma spesso.
Attraversiamo parecchie gallerie, dalle quali si esce affumicati e neri.
Sembriamo africani, ma ci sfoghiamo ridendo.
Il treno si ferma in determinate
stazioni e in una di queste scendiamo dalla carboniera e ci sistemiamo in modo
diverso. Io e Micio troviamo uno scalino libero e ne prendiamo possesso, Turi e
Pietro in un carro bestiame già pieno zeppo e Peppino nel tetto di un vagone.
La gente ci guarda e ci compiange. Tutti hanno un senso di commiserazione per la
nostra situazione. Intanto ricominciano i crampi dello stomaco e un certo
nervosismo. Abbiamo fame e nulla da magiare. Alla fine ci arrangiamo con due
ulive ciascuno. Comincia a fare buio e ancora siamo lontani da Castel di Sangro.
Cambio posto e salgo sul tetto del vagone con Peppino. All'inizio ho paura, ma
poi mi accorgo che lo zaino fa da pilastro. Non si muove e può fare da palo. Il
movimento del vagone che oscilla da destra a sinistra con continui sobbalzi
viene smorzato dallo zaino che si mantiene fermo e ci fa da sostegno. Nel
complesso si sta meglio perché ci possiamo distendere a nostro piacere. Intanto
cominciano le discese e le gallerie. In una di queste cadono due persone che
erano attaccate agli sportelli del treno. Qualcuno tira il segnale d'allarme e
il treno si ferma. Vengono recuperati i due caduti che se la sono cavata con
poche escoriazioni.
Frattanto non vediamo Turi sul treno. Cerchiamo in tutti i
vagoni, ma Turi non c'è. Si teme che possa essere caduto anche lui, Pietro
interviene e ci conferma di averlo visto a terra nella stazione precedente che
per fortuna è a poche centinaia di metri dal punto in cui ci siamo fermati per
soccorrere i due caduti. Poco dopo Turi ci raggiunge a piedi grazie al segnale
d'allarme suonato per la caduta di due persone. Il treno riparte. Io risalgo sul
tetto del vagone. Fa un po' di freddo e mi copro con la coperta.
Arriviamo a Castel di Sangro alle ore 21. Gira la voce che gli abitanti del
paese sono generosi, che offrono pane e pasta a questi ex militari che vanno
verso casa. Ma il treno fa una breve frenata e riparte subito. A mezzanotte
arriviamo a Carpinone. Tutto è chiuso. Inutile cercare pane. Inutile cercare un
posto per dormire al coperto. In una casa ermeticamente chiusa, c'è un cortile
dove ci accomodiamo all'aperto per dormire. Zaino per cuscino e coperta per il
freddo. Dormiamo sino all'alba. Appena svegli, il primo pensiero è quello della
ricerca del pane. Nessuno ce ne offre, ci negano un pezzo di pane e poi ci
chiedono, in cambio di mezzo kg di pane, una coperta, oppure il telone da tende.
Un comportamento schifoso. Ce ne andiamo imprecando e maledicendo. A nulla sono
valse le nostre ragioni che non potevamo privarcene perché ci servivano la
notte per coprirci, dormendo per lo più all'aperto. Ci indirizziamo a piedi
verso Castelpetroso a quattro km circa di distanza. Dopo diverse richieste in
diverse cose una signora ci offre 300 grammi di pane che dividiamo in cinque e
lo mangiamo con un po' di uva presa nelle campagne circostanti.
Sono circa le ore 10. Loro vanno in giro per il paese in cerca di pane mentre io
mi siedo su un muricciolo fuori paese e custodisco gli zaini. Passano le ore e
non ritornano. Mi preoccupo e nello stesso tempo spero che la questua proceda
bene. Verso le 12,30 li vedo a distanza baldanzosi e allegri, atteggiamento che
promette buoni risultati. Infatti mi dicono subito di aver trovato persone
cortesi e generose. Una signora addirittura li ha invitati a casa sua ed ha
offerto uova, frutta, salsiccia, pane e formaggio.
Ha capito che erano studenti,
e li ha serviti con tovaglia e stoviglie. Si sono ben rimpinzati e hanno pensato
anche per me portandomi tre fette di pane bianchissimo che divoro subito come un
affamato, e in verità lo ero. Un signore del paese si intrattiene a discutere
con noi. Ci informa che gli inglesi hanno occupato Bari e si dirigono verso
Foggia. A suo parere noi dobbiamo seguire la strada per Campobasso. Decidiamo di
tornare sulla stazione di Carpinone e riprendere il treno per Campobasso. Prima
però scendiamo a valle nella speranza di trovare acqua per lavarci. Cammino
inutile, non c'è acqua. Ci sdraiamo sotto gli alberi per riposare qualche ora.
Dopo il riposo osserviamo la campagna e ci accorgiamo che c'è un campo
coltivato a patate. Riempiamo uno zainetto di patate per i nostri prossimi
bisogni mangerecci. Alla stazione, come al solito, non si trovano posti sul
treno. Occupiamo cinque posti sul tetto di un vagone. E' uno spettacolo
pietosamente grandioso. Il treno è una siepe umana, non si vedono vagoni ma
uomini arrampicati in ogni minima sporgenza. Peppino va a raccogliere uno
zainetto d'uva che mangiamo lungo il tragitto. Il treno parte alle ore 19.30.
Alle 23 circa siamo a Vinchiatura. Potremmo proseguire per Campobasso ma
scartammo questa ipotesi per due ragioni: evitare eventuali bombardamenti del
treno possibili per l'avvicinarsi verso la zona di combattimento ed evitate
d'essere bloccati dai tedeschi che ancora occupano Campobasso. Ci allontaniamo
dalla stazione per alcune centinaia di metri troviamo cumuli di paglia e ci
sdraiammo ai margini per dormire la notte…

brano tratto da "…per vivere ancora" di Natale
Motta. (prefazione)

NAMO

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