Il Pathos Postcontemporaneo di Frazzetto tra Estetica e Modernità

Il critico e storico dell'arte Giuseppe FRazzetto parla de "L'implosione postcontemporanea. L'Arte nell'epoca del web global", il suo recentissimo volume di saggi uscito per i tipi della catanese Città Aperta. Un "pensiero" critico che è già una sfida.

“Ho utilizzato una provocatoria
metafora per individuare la stimmung di ciò che intendo come pathos
postcontemporaneo: lo stato “triste” successivo all’orgasmo, ove triste
(aggettivo che non rende affatto giustizia al sentimento provato) è un
sentimento ambivalente, un retrogusto, indissolubile mescolanza di soddisfazione
e senso di colpa”. Giuseppe Frazzetto, catanese, critico e storico
dell’arte, insegnante presso la Accademia di Belle Arti, chiosa così il suo
“L’implosione postcontemporanea. L’Arte nell’epoca del web globale”,
volume, appena pubblicato per i tipi della catanese Città Aperta, su cui,
nell’Aula magna del Monastero dei Benedettini, hanno dibattuto Massimo
Cacciari, Pietro Barcellona e lo stesso Frazzetto. “L’unica categoria
filosofica – aggiunge - che si occupa di una ambivalenza analoga a quella
della situazione postcontemporanea che io descrivo è quella del Sublime: ecco
perché all’inizio il mio libro doveva essere uno scritto sul Sublime”.
Giuseppe Frazzetto con le braccia conserte, avvolte sulla camicia colorata che
insieme alla barba crespa e al profilo pieno del volto, gli conferiscono quasi
una densità terrificante e senza scampo ci spiega paziente il perché di
quest’opera: “Esiste una specie di frattura tra il livello di pratica
dell’attività artistica, cioè qualsiasi forma d’arte, ed il livello della
consapevolezza teorica o, per usare un termine più forte ed ambiguo allo stesso
tempo, filosofica. Questa frattura si è allargata maggiormente nel Novecento
perché l’Estetica si è specializzata: da un lato è diventata una disciplina
capace di cogliere il suo specifico oggetto, perdendo però dall’altro la
capacità di relazionarsi a tutto il resto. Nel caso specifico dell’arte
contemporanea questa frattura è diventata grottesca perché gli studiosi
estetica non hanno nessuna pratica dell’arte così come la consapevolezza
filosofica degli artisti è scarsa se non addirittura stereotipata”. Dunque il
suo libro affronta alcuni nodi centrali: la riflessione sulla specializzazione
dell’arte e sulla sua conseguente marginalizzazione. “Certo. Oggi l’arte
non serve più a niente, non ha collocazione nell’enciclopedia del sapere”.
L’altra questione è relativa alla Tecnica. “Tutti i discorsi – continua
Frazzetto - contro la Tecnica sono privi di senso. L’arte è anzi l’apice
della capacità tecnica. Ecco io ho cercato di analizzare il fenomeno e di
precisarlo nel suo quadro attuale che si caratterizza come pathos
postcontemporaneo: “Attenzione – precisa però Frazzetto – questa
categoria non è né una dottrina né un atteggiamento né una fase, tantomeno
un’epoca: è un modo di rapportarsi (etimologicamente una “sofferenza”).
Quello che ci caratterizza è l’incapacità dell’epoca di
autocaratterizzarsi: insomma non ci sono più tendenze, il pathos
postcontemporaneo si caratterizza per la sua interna contraddizione: il singolo
pretendo che a modernità si realizzi ma so che è impossibile è una situazione
dilacerante connotata da una “tonalità luttuosa”. Ovviamente il libro
individua alcuni obiettivi polemici: “Heidegger è il primo perché è stato
utilizzato dalla critica pur avendo detto delle cose insignificanti: sono gli
stessi critici che parlano e filosofeggiano sull’arte senza averne
consuetudine. L’altro obiettivo polemico è Baudrillard: “una mezza tacca
– dice Frazzetto - ma dotato di una grande capacità : è un descrittore
lucidissimo”. Da Banfi a Perniola da Debord a Sgalambro, inclusi i
francofortesi, il saggio di Frazzetto ci illumina anche sulla stratificata
formazione culturale di Frazzetto: una stratificazione aggiungiamo non meramente
orizzontale, che implicherebbe la blindatura della tradizione, del sedimento
interpretativo; piuttosto verticale una sorta di aperto “codice a barre”
concettuale. “Ecco – confessa timido alla fine – io non so qual’è lo
scopo pratico del mio libro, che non è un libro d’uso. Mi sono sforzato di
pensare, di fare filosofia che ha senso quando non è specialistica ma un
atteggiamento mentale di ricerca della verità: e soltanto i pensatori che hanno
lottato contro un loro particolare inferno sono degni di interesse”.

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