Il Ministro Brunetta propone di cambiare l'articolo 1 della Costituzione

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«Mi faccia dire una cosa che ancora non ho detto: la riforma non dovrà riguardare solo la seconda parte della Costituzione, ma anche la prima. A partire dall’articolo 1: stabilire che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” non significa assolutamente nulla».
Brunetta è piccolo di statura ma in compenso ha un cervello grande come la sua famelica voglia di stupirci. Questo è l'anno delle riforme Istituzionali condivise con un accordo programmatico, così mi è sembrato aver sentito dire, almeno nel 2009, non un concorso a premi a chi le spara più grosse. Contrariamente, in questo rinnovato clima di concordia politica, dopo "l’attentato" al premier, il clima delle improvvisazioni non è cambiato. Benvenuto 2010! “Non aspettavamo altro che la modifica dell'articolo 1 della Costituzione”.

Il caro Brunetta avrà pensato: “in un’Italia senza lavoro, senza salari, senza niente di niente e piena di disoccupati, che ci sta a fare l’articolo uno”? E’ giunto il tempo di riorganizzare l'Italia e la sua Costituzione! Renato vorrebbe introdurre un trattato sul mercato, sull’incrocio tra domanda e offerta nel primo articolo, però qualcuno dovrebbe spiegargli che il primo articolo è il nocciolo su cui si basa una nazione, non un trattato linguistico- economico cui disquisire. La modifica della Costituzione non può ridursi in un improvvisato dialogo di leggerezza anticonformista, “durante una pausa ricreativa del Ministro”, tanto per distrarsi dalle drammatiche incognite del paese. Oggi la vera emergenza non è quella di modificare qualche articolo costituzionale ma, il lavoro che non c’è. Una nazione che arretra, che si impoverisce, che diventa precaria nella scuola, nella sanità, nell’industria e nella sua cultura, non dipende dal fatto di non aver modificato la sua carta costituzionale, dipende dalla sua classe dirigente. Dal modo come amministrare il bene comune. Discutere d’altro è motivo per forviare il problema lavoro, rinviare le soluzioni, stendersi allo stile paludato del momento. Come “Bertoldo” si chiede di poter scegliere la pianta che, non si troverà mai, dove venire impiccato. Le riforme, in questo momento storico, in questo violento e rozzo alto medioevo di oggi, sono come l'astuzia di Bertoldo alla corte di Alboino. L’Italia ha bisogno dei suoi cervelli in fuga, quelli che per povertà di idee della politica sono emigrati altrove, arricchendo del proprio sapere altre nazioni. L’Italia ha bisogno degli onesti, quelli che al momento sembrano spariti, di gente che non spara cazzate tanto per parlare, di donne e uomini migliori, di persone che non sono affascinate dall’effimero, che pensano al plurale, al futuro. L’Italia ha bisogno di ritrovare gli italiani e il suo rinascimento, i valori della resistenza democratica, i suoi nuovi partigiani dell’unità nazionale. Ed infine, l’etica. Poi possiamo parlare di riforme. Non dimenticando mai che, l’Italia è, e resta, una Repubblica Fondata sul Lavoro.

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