Don Francesco Monaco e la mancata rivoluzione industriale misterbianchese

Stabilimento Monaco Vaniglia… si, vaniglia! Si sente ancora l’odore dolce di vaniglia, tra le camere e i corridoi dello “Stabilimento di Monaco” di Misterbianco. È il profumo del sigaro che fumava il “principale”, don Francesco Monaco, che, dal lontano 1922, “risiede” tuttora nel vetusto edifico industriale.

Quest’anno, infatti, ricorre il 90° anniversario dell’incendio che distrusse uno degli impianti industriali più all’avanguardia, per la sua epoca, e tra i più importanti e redditizi dell’intero meridione d’Italia. Lo stabilimento, ubicato nell’angolo nord del paese etneo, venne fondato, nel 1875, da Francesco Monaco, misterbianchese, di professione carrettiere, che riuscì a creare, con grande impegno e capacità, un vero “impero” economico, realizzando un imponente complesso produttivo, industriale e commerciale. Ai primi del Novecento, persino il Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, volle visitare lo Stabilimento di Monaco. Un gesto che dimostrava tutta la potenza e la notorietà dell’azienda, e che consolidava, inequivocabilmente, lo status sociale che aveva raggiunto Francesco Monaco, divenuto, ormai, un riverito e apprezzato imprenditore, conosciuto in Italia e all’estero, dove esportava i suoi eccellenti prodotti, (liquori, cognac, acquavite, farina). La sua fulminea ascesa sociale fa pensare molto al “Mastro don Gesualdo” di Giovanni Verga. Monaco è il carrettiere che diventa industriale, il “Mastro” che riesce a diventare “don”. È la piena affermazione sociale ed economica di un famiglia che riesce a creare lavoro e ricchezza, e che, come diremo adesso, dà vita ad un indotto economico, capace di dare sviluppo al territorio. Il paese dei gabelloti, mezzadri e jurnatari, diventa, con lo Stabilimento di Monaco, un centro di produzione industriale tra i più fiorenti dell’intero meridione. Ma, ahimè, l’azienda Monaco vive in un’epoca dominata da forti tensioni sociali e conflitti politici: la nascita dei movimenti sindacali, la fondazione dei Fasci siciliani, l’affermazione dei partiti politici di massa. Catania, in quegli anni, assisteva all’ascesa politica del socialista Giuseppe De Felice, un combattente per l’emancipazione e i diritti delle classi lavoratrici siciliane, e che, sicuramente, ebbe dei contatti con le maestranze misterbianchesi che lavoravano nello stabilimento. Don Francesco Monaco come reagì a tutto questo? Mentre il Mastro don Gesualdo di Verga, restò solo, rifiutato dai suoi ex amici Mastri e non pienamente accettato dai don, il nostro Don Francesco Monaco, invece, per uscire dall’isolamento “paesano”, cercò, e trovò sostegno nell’avv. Giuseppe Carnazza Amari, di Catania, tra gli uomini più ricchi e influenti della città.
Probabilmente, però, l’alleanza con questa potente famiglia non lo “garantiva” pienamente, o non gli bastava, se, alle continue lamentele e rimostranze dei suoi operai, lui reagiva minacciandoli, “Vi mannu di novu a vìnniri ova!”. Probabilmente i lavoratori, sicuri e… fiduciosi del progresso e delle “magnifiche sorti e progressive” del nuovo secolo, e “imbevuti” di Marx e “dell’imminente vittoria della classe proletaria”, andarono oltre… il lecito, arrivando sino allo sciopero e al “sabotaggio” degli impianti e dei prodotti! E questo era davvero troppo per i “gusti” del principale! Così, in una bella sera d’aprile, Monaco perse la pazienza e… uno, due, mille scintille, e l’immenso stabilimento andò completamente in fumo! (si vocifera, persino, il nome dell’esecutore, riferitomi da mio nonno, e confermato, da amici, anche a Brescia). Anni di fatica e di lavoro, montagne di macchinari e di prodotti finiti, andarono distrutti in un solo minuto! Forse un confronto con toni più pacati, un “tavolo di trattative”, una diversa “concertazione” tra gli operai e il padrone, avrebbe potuto salvare l’azienda Monaco. Ma siamo negli anni venti!

Probabilmente Don Francesco Monaco, con la sua mentalità, diremmo adesso, “provinciale”, frutto della cultura “feudale” della Sicilia di inizio secolo, non riuscì a “vedere oltre”, a capire che lo stabilimento, oramai, era “patrimonio” dell’intera comunità misterbianchese, di quegli oltre 200 uomini, donne e ragazzi, che avevano acquisito, dopo anni di duro lavoro, un’elevata professionalità, e che, tra quelle mura, avevano sudato, “buttato sangue”, e investito sul proprio futuro. Certo, anche loro hanno fatto la loro “parte” nell’opera di demolizione e di “sfiancamento” del principale! Forse, è mancata una classe politica, illuminata e autorevole, capace di mediare le contrapposte esigenze e trovare una giusta soluzione alle due parti in causa. Invece, purtroppo, è prevalsa la classica mentalità “paesana”, del “tagliare l’albero su cui si balla”, o “dell’uccidere il figlio pur di vedere la nuora vistuta a luttu”. Anche se, la lauta polizza assicurativa, ha sicuramente “sanato” la profonda ferita del padrone! Una cosa è certa, se la notte del 20 aprile 1922, lo Stabilimento di Monaco, non fosse stato inghiottito da quel terribile incendio, oggi, sicuramente, avremmo avuto un’altra Misterbianco, e un’altra Sicilia.

(Breve saggio pubblicato sul periodico “Parru cu tia”, del dicembre 2012, in occasione del 90° anniversario dell’incendio che distrusse lo Stabilimento Monaco di Misterbianco. Il gruppo “Parru cu tia”, prossimamente, ha intenzione di organizzare un convegno per rievocare il periodo storico in questione e approfondire le ricerche e lo studio sull’azienda Monaco nel contesto socio-economico della città di Misterbianco).

Angelo Battiato

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