Disegno di legge: Regione avanti anche col decesso del governatore

Il gatto e la volpeda corriere.it
Nonostante la Sicilia possa apparire come un impasto di «luce e lutto», per dirla con Gesualdo Bufalino, e le prime mete dei turisti a Palermo siano il «Trionfo della morte» o i cadaveri imbalsamati dei Cappuccini, lo sgradevole richiamo al punto estremo dell’esistenza rischia di diventare devastante e obliquo quando entra nel linguaggio della politica e del potere. Come sta accadendo con la presentazione di un disegno di legge costituzionale per modificare lo Statuto autonomista e separare la vita dell’Assemblea regionale da quella del presidente. Che sarebbe un modo per far sopravvivere la prima, senza nuove elezioni, in caso di «impedimento» del governatore, cioè in caso di «dimissioni, sfiducia, rimozione o morte». È proprio sull’ultimo punto che gela il variegato scacchiere politico dell’isola.

Perché la norma, compresa la postilla sulla «morte», ideata e messa a punto durante una «riunione segreta» sponsorizzata dai maggiorenti di Pdl e Udc, viene interpretata come un torbido messaggio prenatalizio diretto allo stesso governatore Raffaele Lombardo che si guarda intorno preoccupato parlando di «congiurati» all’opera. E qui la trama s’infittisce. I Beati Paoli architettavano tranelli e accoppamenti nei sotterranei di Palermo. Mentre gli emuli dei cospiratori raccontati dal Natoli che si firmava William Galt stanno nella bulgara e litigiosa maggioranza di centrodestra espressa dopo la forzata caduta di Totò Cuffaro. La stessa del governatore al quale i suoi grandi elettori preparerebbero lo sgambetto, annidati addirittura fra i saloni di Palazzo Madama. Oddio, è solo «una voce», precisa Lombardo. Ma gli avrebbero riferito che «un’alta carica dello Stato» copre i protagonisti della rivolta, come s’è lasciato sfuggire per gli auguri natalizi con i cronisti invitati così a pensare alla «seconda carica», quindi al palermitanissimo Renato Schifani, mai citato ufficialmente nelle polemiche. Fatta eccezione per il segretario udc Saverio Romano pronto a tuonare «contro chi definisce il presidente del Senato artefice di manovre clandestine». Un nome da non fare perché «è il frutto esacerbato della lotta contro tutti».

Ma a farlo è stato Romano, l’amico più stretto di Cuffaro che invece aveva dato il là al concerto contro il governatore con un epitaffio sul loro rapporto: «Lombardo non è più amico mio». Una sorpresa per chi in primavera descriveva il leader degli Autonomisti come il clone di Cuffaro. Effetto di un presunto voltafaccia rimproverato da chi non digerisce la «decuffarizzazione » della Regione, i tagli alla sanità, la sostituzione dei dirigenti e la rivoluzione interna fatta anche con i due magistrati assessori, Giovanni Ilarda e soprattutto Massimo Russo che su Asl e ospedali smuove antiche incrostazioni. Un contropiede che con il big catanese di Forza Italia Giuseppe Castiglione ha già prodotto la richiesta di un azzeramento della giunta («Solo proclami, manca un piano»), mentre Schifani prova a non farsi tirare per la giacchetta. «Beghe locali», minimizza. Ma senza diradare per intero le nebbie: «Mi occupo da siciliano degli interessi della Sicilia e continuerò a farlo». Né può mettersi a smentire le voci sul vertice segreto dove il senatore Pino Firrarello avrebbe sussurrato che «Lombardo deve morire», stando a quanto riferiscono i preoccupati amici del governatore zittiti da Carlo Vizzini: «Si nasconde così il rischio di un fallimento politico». È tempo di scongiuri e scorte rafforzate. Un tempo che riporta indietro di quattro anni, quando Catania si svegliò tappezzata da manifesti a lutto per annunciare la morte di Lombardo, allora segretario udc: «È venuto a mancare l’uomo più amato dai siciliani...». Lo stesso giorno della manifestazione indetta dai cosiddetti «quarantenni», i ribelli scatenati contro l’asse Cuffaro- Lombardo. L’asse oggi rotto. Mentre in Assembleamonta una sorda lotta che con la normativa attuale rischierebbe di affossare governo e Parlamento. Una lotta combattuta anche a colpi di franchi tiratori. Perché ci sono 20 miliardi di euro di fondi comunitari da spendere. E chi comanda spende. Chi spende sopravvive. E non muore. Politicamente, ovvio.

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