Comune di Misterbianco sciolto per mafia, ecco le carte che hanno convinto il Viminale

Comune di MisterbiancoDecisiva la relazione del prefetto. L’arresto del vicesindaco. I clan e il “patto elettorale” rivelato da un pentito.

Catania. «Accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali». Game over. La notizia era attesa: il provvedimento era all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Ma è comunque una batosta, per Misterbianco, quella che arriva da Roma alle sei della sera. Il governo ha deliberato, su proposta del ministro dell’interno, Luciana Lamorgese, lo scioglimento del Consiglio comunale per 18 mesi; al municipio arriva una «commissione di gestione straordinaria». Ora sarà un decreto del presidente della Repubblica a sancire lo scioglimento. Non il primo, per il centro di 50mila abitanti dell’hinterland etneo: nel 1991 analogo atto dopo l’omicidio del segretario della Dc, Paolo Arena.

Decisiva, ai fini della proposta del Viminale al Cdm, la relazione del prefetto di Catania, Claudio Sammartino, dopo il lavoro della commissione incaricata, lo scorso 30 novembre, di un accesso ispettivo antimafia una settimana dopo “Revolution Bet 2”. L’inchiesta della Dda di Catania su mafia e scommesse portò all’arresto del vicesindaco di Misterbianco, Carmelo Santapaola, per intestazione fittizia di beni, ma in un contesto di vicinanza con la famiglia Placenti, ritenuta legata ai Santapaola-Ercolano.

Leggendo le carte dell’operazione, lo scenario è fosco. Il gip di Catania parla di una «vera e propria occupazione sistematica dell’istituzione comunale, volta ad esplicare un controllo pieno di appalti e assunzioni», con Santapaola «testa di ponte del sodalizio all’interno dell’ente comunale». Circostanza confermata dal pentito Giuseppe Scollo, per il quale l’ex vicesindaco «fa sapere le notizie sugli appalti e vantava amicizie nel Comune di Misterbianco con la possibilità di ottenere posti di lavoro ai parenti degli affiliati».

Ma, come apprende La Sicilia da fonti romane, nel dossier allegato alla proposta di scioglimento ci sarebbe dell’altro. Alcuni «riscontri concreti», atti alla mano, sull’efficacia del pressing mafioso (magari anche a insaputa del sindaco stesso). E, inoltre, le rivelazioni, pesantissime, di un altro pentito: Salvatore Messina, nome in codice (mafioso) “Manicomio”, esponente del clan Pillera. Lo scorso 3 dicembre, in una località segreta, Messina vuota il sacco con i pm Marco Bisogni e Giuseppe Sturiale. E parla di alcuni «incontri avvenuti prima delle elezioni, in particolare nell’aprile 2012». Proprio la competizione di cui si parla nelle carte su Santapaola. “Manicomio” è «assolutamente certo» che l’ex vicesindaco di Misterbianco «fosse a conoscenza dell’appartenenza mafiosa dei suoi cugini». Ma, in un verbale di 19 pagine stracolmo di “omissis”, il collaboratore conferma ai magistrati della Dda la posta politico-mafiosa in gioco.

Fu proprio uno dei Placenti, “Melo”, a stringere con Messina un patto elettorale. Il pentito ammette che entrambi i candidati (omissati nel verbale) sostenuti dai clan «furono eletti». Nel 2012 la “Lista Santapaola”, a sostegno di Di Guardo candidato e poi eletto sindaco, totalizzò 1.923 voti che fruttarono tre consiglieri. Il pentito rivela che «i Placenti volevano avere un riferimento forte sul territorio per le licenze e per le altre cose che orbitavano nel comune».

Mario Barresi
lasicilia.it
27/09/2019

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