Come sono attuali i "tormenti del signor Mockimpott"

La piece di Peter Weiss messa in scena da Gianni Salvo (che ne è anche l'inteprete) sui legni del Piccolo Teatro. Si replica domenica pomeriggio.

La nuda
condizione coatta – sorta di prigione/esistenza - amplificata dai grandi
cerchi-spirale in cui lo spazio scenico è costretto, iscrivono “Come il
signor Mockimpott fu liberato dai suoi tormenti” - la piece di Peter Weiss che
il Piccolo accoglie sui suoi legni - al non-teatro della denuncia, dello
smascheramento della bugia sociale: e forse solo Celine aveva fatto altrettanto
con il suo corrosivo “Mea culpa”. Nelle sequenze che con
la loro fulminante brevità
compongono questo “stationendrama”,
il protagonista
Mockimpott – cui Gianni Salvo dona una tragicomica
densità espressiva – è un individuo dalla “natura patibolare” che vive
nell’ombra la sua condizione di salariato. Si risveglia misteriosamente in
prigione (un signor K. kafkiano ma più ilare) e poco a poco, costretto a
versare tutti i suoi risparmi in forma di tangente per avvocato e secondino,
senza amici, senza affetti, con una moglie manesca e traditrice che lo caccia di
casa, alle prese con l’ex Direttore, marionetta del suo “capitale”, che
gli addebita le perdite e lo accusa di “sindacalizzare” la ditta, con un
medico che con la sua “appropriata chirurgia” tenta la risistemazione di
cuore e cervello: Mockimpott si ritrova insomma fuori dal “sistema”. Nemmeno
l’incontro con il Palazzo e i suoi tre Poteri (Giampaolo Romania, Alessandro
Ferrari, Davide Gonciaruk), che con la loro sfuggente vacuità parolaia ed il
loro glamour costituiscono il siparietto più corrosivo della piece,
servirà a svelare il “senso” della sua esistenza. Almeno fino
all’agnizione finale, conseguenza del colloquio con lo stesso Creatore (un
convincente ed atteggiato Davide Gonciaruk), con tanto di cigarillo e un’aria
da megadirettore fantozziano che ragiona in termini rigorosamente aziendali -
bilancio, profitto, concorrenza, riduzione del personale - e che si rivela un
affarista indifferente al caos del mondo. Per uno che “ha rotto le catene
dello spirito” non resta altro che scoprire l’inganno (circolare) di fondo:
“il destino di Mockimpott è Mockimpott”. Calata nell’atmosfera surreale e
circense, con i due angeli clown (Davide Migliorini e Anna Passanisi) che
annunciano di volta in volta le stazioni della passione di Mockimpott, lo
spettacolo presenta lo spettacolo dell’ordine (capitalistico) che rovescia e
mistifica. E’ perciò quella di Weiss una comicità che sfrigola ed irride,
che addita ma che lascia forse senza speranza. Sostenuta dalle note irriverenti
di Pietro Cavalieri al pianoforte e dagli sgargianti costumi di Oriana Sessa, la
consapevole povertà di mezzi è rovesciata dalla regia di Gianni Salvo in
ricchezza espressiva, soprattutto per la scelta della traduzione (splendida ma
purtroppo negletta) di Valerio Valoriani che mantenendo le rime baciate del
testo weissiano imprime a questo “metafisico” atto unico un incedere
incalzante ed una dolorosa attualità.

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