Niente fuochi pirotecnici al Poggio Croce: nel dibattito, una città divisa

Fuochi Artificiali MisterbiancoMai più fuochi artificiali al centrale Poggio Croce di Misterbianco, caro ad intere generazioni. Lo prescrive l’ordinanza sindacale n.95 di mercoledì 20 su cui abbiamo già sinteticamente riferito e con la quale – richiamandosi a varie normative - si fa divieto assoluto di effettuare accensioni e spari in quella zona del centro storico soggetta a tanti rischi.

In città viene descritta come «la fine di un’epoca e di una secolare tradizione» richiamata da tanti, per i quali i giochi pirotecnici appartengono a un patrimonio socioculturale che integra in qualche modo la stessa “identità” del vecchio paese etneo. Le proteste non mancano, come quelle – espresse esplicitamente in un tempestivo manifesto pubblico - della stessa Commissione della Festa della “Madonna degli Ammalati”, cui è stato impossibile chiudere la ricorrenza religiosa con i fuochi pirotecnici programmati e attesi, auspicando che almeno «nel Piano regolatore generale del Comune venga individuata un’area adatta dove effettuare l’esibizione». E qualche pagina web ironicamente commenta gli ultimi fatti scomodando addirittura Guareschi con i suoi Don Camillo e Peppone, quasi fosse in atto una “guerra” tra sindaco e parroco sulle manifestazioni collaterali a quelle liturgiche. Ma c’è in effetti solo un contrasto tra normative e responsabilità di legge e le attese di quella parte della popolazione che rivendica «la custodia e il perpetuarsi delle tradizioni» e di quei fedeli per i quali i “fuochi” sono una parte essenziale e integrante di una festa religiosa “solenne”, con apposite offerte di denaro a tal fine, e si devono necessariamente trovare una soluzione e uno spazio ad hoc. Citando i fuochi anche di grosso calibro consentiti in altri comuni etnei.

I problemi erano già “esplosi” a Misterbianco (al posto dei fuochi) in occasione dell’ultima festa al Patrono della città, S. Antonio Abate, quando appunto la collocazione delle postazioni dei fuochisti allo storico “Poggio Croce” fu fortemente contrastata e vietata all’ultimo momento per motivi di sicurezza, i fuochi non furono sparati, e ne seguirono lunghe polemiche (in parte anche nei confronti delle forze dell’ordine locali) che ora si rinnovano. Anche sui “social” è oggi l’argomento del giorno, che accantona per un momento le tematiche politiche e amministrative di solito prevalenti, o forse vi si innesta.

Dall’altra parte, moltissimi anche i cittadini che condividono esplicitamente l’ordinanza sindacale, dettata da motivi di sicurezza e anche di rispetto per quanti dai fuochi si ritengono disturbati e potenzialmente danneggiati. Nell’ordinanza si legge che «la villa comunale del Poggio Croce in prossimità della piazza XXV Aprile non può più essere considerata un luogo idoneo a porre in essere l’accensione e il lancio di fuochi d’artificio, lo sparo di petardi, lo scoppio di bombette e mortaretti e il lancio di razzi, poiché è interessata dalla insistenza a pochi metri di edifici abitati e dalla vicinanza delle campagne di contrada “Sieli»; che «lo scoppio degli ordigni citati genera un fragore e l‘emissione di fumi nocivi che turba la vita cittadina di coloro che abitano o si trovano nei pressi, in special modo quella di anziani, minori, persone con particolari patologie e di animali domestici»; e che «occorre dunque salvaguardare l’incolumità pubblica intesa come tutela dell’integrità fisica della popolazione e della sicurezza urbana». Tra le norme, le vecchie e nuove generazioni, e i tempi che cambiano, la città resta divisa.

Roberto Fatuzzo
La Sicilia
23/09/2017

r.f.) Vengono citati un articolo del codice penale e 3 norme di legge in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana, nell’ordinanza con cui il sindaco di Misterbianco ha ritenuto di tutelare persone e beni della comunità dallo sparo di fuochi pirotecnici nel centro urbano in occasione delle feste religiose. Come testimoniano anche molti interventi sui "social", da molti è stato recepito come un "duro colpo alle tradizioni" e alla stessa identità dell’antico paese; un'altra parte della cittadinanza invece è d'accordo sul divieto. La «fine di un’epoca», per gli uni, un atto dovuto per molti altri.

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