Il grande sogno di un'antica speranza

Monti SieliPer molti, soprattutto per i non nativi di Misterbianco, “Sieli” è divenuto un termine indicativo di siti delle cosiddette aziende sfasciacarrozze, dove le parti ancora integre dei veicoli si rivendono per il riuso e quelle non riutilizzabili avviate al settore della siderurgia. I nostri vecchi, però, ci raccontavano che le terre di “Sieli” prima erano state una risorsa per coltivazioni agricole (ortaggi, uve e grano), ed in tanti della mia generazione eravamo soliti spaziare lo sguardo dal “Poggio Croce” per scorgere la sinuosità di quelle colline solitarie e misteriose, rimaste impresse nella nostra memoria ma abbandonate alla nostra indifferenza.

Negli ultimi decenni, però, il nome “Sieli” è salito alla ribalta della cronaca per la comparsa di un funesto mostro che si aggira tuttora tra quelle caratteristiche colline: LA DISCARICA. Adesso, dinanzi all’incauta latitanza delle istituzioni, tutti noi (nativi o residenti) sembriamo esserci ridestati dal sonno di pietra, e la liricità degli appassionati commenti sui nostri “sieli” stimolano il risveglio dei sogni e dell’utopia a spontanei comitati contro lo scempio di una umanità che sfrutta, distrugge e non recupera nulla. Ma finiscono per restare prediche di vane rimembranze e di inutili lodi che cadono poi nel vuoto dei riti mondani alienanti e delle distrazioni di massa, dove si crede di poter annegare l’impotenza e i disagi fino a diventare strumenti passivi in preda dell’indifferenza e dell’omologazione allo sballo negativo. Quelle liricità, sicuramente commoventi, mi riportano però ad una nota e sublime poesia del Pascoli, nella quale il poeta con 67 parole, sintetizzate in 10 righe, ricompone un quadro esemplare di forte intensità simbolica che si conclude col pianto della capinera in cerca del suo nido che non troverà mai più.

Sui “Sieli” ci era apparsa confortante la sentenziata bonifica a tutela del territorio che, rimandata di anno in anno, avrebbe dovuto finalmente attuarsi nel settembre dello scorso anno 2014, ma pare oggi caduta nell’oblìo. Nonostante, infatti, la dichiarata illegittimità dell’impianto di smaltimento, restano bloccate le indagini giudiziarie e si continua ad alimentare il mostro con montagne di rifiuti grazie alle incaute indulgenze di una politica regionale che favorisce spropositati profitti privati ed un costoso regime commissariale. Si intuisce che il potere finanziario riesce ancora a dettare le regole alla politica, e la democrazia diventa sempre più regime di plutocrati in un sistema che produce gravi sconvolgimenti al territorio e alla salubrità dell’ambiente in cui viviamo, crea concentrazioni di capitali e profonde disuguaglianze sociali. E non solo, ma stando alle notizie di arresti verificatisi ultimamente nel nostro territorio, sembra anche che mafie finanziarie controllino politica, istituzioni e buona parte del paese. Il male, però, è che nella rete della giustizia abbocca solo la manovalanza e non gli invisibili personaggi che di essa se ne servono. Non sono più le vecchie mafie della violenza fisica e delle estorsioni. Si sono evolute in lobbies affaristiche con figure professionali di avvocati, funzionari ed ingegneri assai meglio attrezzati nel sistema. Non hanno bisogno, infatti, della violenza delle armi, perchè, grazie ad una rete di ambigue relazioni e con la coesistenza di tacite regole tra politici e onorata società, preferiscono la corruzione negli appalti, egemonizzare gli affari, entrare negli investimenti e persino nel capitale sociale. E con l’ausilio di infiltrati fin sotto la maschera della politica (finanche di slogans con stampo antimafia) la maledizione del sistema continua peggio di prima con l’uso di strumenti certamente illeciti ma non di facile accertamento. Tutti personaggi che insieme costituiscono le pecore nere nel gregge degli onesti. Tali fenomeni, purtroppo, si sviluppano nella distrazione generale, quando il senno della ragione dormicchia facendo scivolare la politica sempre più in basso e senza che l’opinione pubblica si scompone, al punto che gli scandali non fanno più notizia. E non sono sufficienti le denunce di Magistrati, le mobilitazioni popolari o la costituzione di Comitati Civici.

CHE FARE?.

Riconosco che la mia generazione ha fallito i propositi di cambiamento del sistema, ma quelle idee che hanno segnato la storia degli anni ’60 non hanno esaurito il loro compito. Occorre, perciò, risvegliare l’utopia nelle nuove generazioni con la consapevolezza che danni al territorio e malessere sociale sono individuabili proprio nel sistema, il quale emana, scompone e riadatta ordinamenti ad uso delle sue lobbies affaristiche e spesso del malaffare. Impone alla politica le sue regole e con l’immoralità di profitti maleodoranti produce nella gente solo lutti e disperazione. Perdurando, dunque, i gravi pericoli all’ambiente ed alla salute pubblica, non basta mostrarsi indignati o peggio affidarsi ai manifesti e alle sterili denunce di chi, in fascia tricolore ed in veste di autorità sanitaria che gli viene dal mandato di sindaco, potrebbe invece emanare urgenti ed efficaci ordinanze d’emergenza. La verità è che le cause del male stanno nello squallore del sistema e per rovesciarlo è necessario “riformare” la cultura della società, riorganizzando la vita materiale della gente in un nuovo modo di consumare, di lavorare e di vivere per camminare pieni di speranze verso quella società che chiamiamo“società civile” e che Leopardi già nel suo secolo agognava col suo “DISCORSO SUI COSTUMI DEGLI ITALIANI”. In esso egli denunciava lo stato di crisi, di desolazione politica ed intellettuale addossandone le cause a quei comportamenti che concorrono a spiegare le lentezze del processo formativo della Nazione. E la ragione principale era vista nella carenza di una vita pubblica e sociale che in Italia, allora come oggi, consisteva unicamente in passeggiate, spettacoli tra sacro e profano, frequentazioni di chiesa, piaceri mondani e distrazioni di massa in un carnevale che dura tutto l’anno. Evidentemente disponiamo ancora, malgrado la crisi, di una quantità di “panem et circenses” ancora sufficiente per evitare rivolte, e forse il momento non è quello giusto, ma anche qui da noi gli scorci della disperazione dovrebbero essere già abbastanza visibili se il nostro centro commerciale va spopolandosi di lavoro ed il nostro territorio resta ancora abbandonato al mostro che continua a covare i suoi veleni sotto le terre di “Sieli”.

Però, suscita oggi malinconia delegare la formazione culturale della gente a chi ne fa valutazione di marketing per profitto, con piatti e libagioni a tavolo su piazze e spazi sottratti al pubblico o anche alla sacralità dei luoghi. E anzichè parlare di giustizia, legalità e di qualità culturale la gente spesso si omologa al conformismo alienante, si ingozza di frivolezze e della vanità delle cose, dimenticando la propria responsabilità etica, verso la quale l'Istituzione Comunale non dovrebbe essere indifferente, perche la cultura non si baratta con la gastronomia o con libagioni a cielo aperto, ricalcando i metodi demagogici del “panem et circenses”. Certamente diventa naturale e legittimo che l’esercente, approfittando di una società edonistica, voglia incrementare i suoi incassi promuovendo un giovanilismo compulsivo con concertini ed eventi d’intrattenimento. Tuttavia la loro realizzazione dovrebbe limitarsi alla concessione di compatibili “porzioni” di spazio delimitati e assegnati dietro pagamento del contributo per occupazione del “bene comune” quando l’esercente lo usa a scopi di profitto privato (come suppongo “così fan tutti”). Lo dico anche alla lobby della Confcommercio di Misterbianco che dalla politica locale vuole per il comparto commerciale la riduzione di TARI, IMU e Tosap; ed incautamente persino la sgravio della tassa sul suolo pubblico.

E ai bisogni del popolo chi ci pensa?...Resta sempre il salassato prescelto del fisco di Stato.

Converrebbe, dunque, lasciare baristi, pizzaioli e ristoratori ai loro forni e alle iniziative finalizzate a promuovere la loro attività, ed indirizzare invece gli intellettuali ai loro compiti culturali, sollecitando l’Amministrazione ad investire in casa nostra su un proficuo ed incisivo decentramento culturale, finanziato dall’Ente Pubblico e gestito da Associazioni selezionate “seriamente” per benemerenze culturali e di protezione della natura, al fine di offrire alla cittadinanza eventi istruttivi di progetti multidisciplinari artistico-culturali che coinvolgano autori e popolo in un nuovo modo di pensare e di vivere in una società disciplinata.

Una canzone di Gaber dice «Non insegnate ai bambini la vostra morale..è così stanca e malata potrebbe far male..forse una grave imprudenza è lasciarli in balia di una falsa coscienza..ma se proprio volete, raccontategli il sogno di un’antica speranza...» Orientarsi in tal senso significherebbe incentivare (ora anche con la creazione del bilancio partecipativo) i giovani ad organizzarsi in gruppi associativi per sperimentarsi in obiettivi no-profit che configurino messaggi di reale socializzazione, aggregazione (ed anche divertimento) in pubbliche piazze o in aree “compatibilmente” disponibili, al solo scopo di promuovere vere palestre di discussioni, di passioni e nuovi stili di vita positivi. Un territorio dovrebbe fondare, infatti, la sua forza soprattutto sui suoi cittadini, perchè poi diventa inutile lamentarsi dello scarso peso dei politici che ci rappresentano quando con tutta la nostra “indifferenza” siamo noi stessi a tuffarci nell’oppio delle distrazioni e a togliere input a quella che dovrebbe essere l’azione politica del paese e dell’Amministrazione che lo rappresenta.

Già la generosa lotta dei “Comitati NO-Discarica”, “ArciMakeba” ed il presidio di “LIBERA Misterbianco”, ed ora anche la neonata Associazione “ATTIVA Misterbianco” sembrano primi vagìti del debutto di quelle nuove intelligenze che, col sogno dei “Sieli” dilaniati dal profitto, si risvegliano per dare un senso ed una ragione di speranza al futuro di un mondo nuovo, nel quale poter attuare la partecipazione popolare alle scelte riguardanti l’ambiente, la salute, la legalità, la giustizia sociale ed il lavoro. Sembrano resuscitare le aspirazioni “sessantottine” che mi ricordano qualcosa della mia passata gioventù, e seppur tra molte contraddizioni i giovani d’oggi dovranno rimettersi in cammino per riprendere gli obiettivi di lotta che noi, generazione del passato, abbiamo purtroppo abbandonato, perchè LA COSTRUZIONE DI UNA CIVILTA’ EVOLUTA non è concessa ma viene conquistata dalla capacità di reagire contro il sistema per ripensare ad una nuova economia delle sicurezze collettive ed al controllo sociale del benessere ambientale. Nella realizzazione di questa antica speranza sta, infatti, la ricerca della felicità, altrimenti l’ennesimo grido di “BASTA DISCARICA” (con o senza il folklore scenico della fascia tricolore) resterà ancora voce urlata al vento.

Enzo Arena
www.webalice.it/arenavincenzo

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