Il dibattito alla Fidapa sulla strumentalizzazione delle donne

Fidapa - MisterbiancoZoning (“quartieri a luci rosse”), creazione di case autogestite, iscrizione alla Camera di Commercio, pagamento delle tasse… se non stessimo parlando di prostituzione potremmo pensare ad un nuovo mirabile “incentivo imprenditoriale” e le “artigiane del sesso” o sex workers apparirci, per un momento, la realizzazione di antiche battaglie di autodeterminazione delle donne, insomma una conquista del femminismo storico.

E se a parlarne è la Fidapa, anche quella di Misterbianco con la sua Presidente Dina Palmeri, potreste ancora ingannarvi, pensando che la “Federazione italiana delle donne nelle arti, professioni e affari” sia diventata lo sponsor politico di chi propone il superamento della legge Merlin del 1956, con il ddl n. 1201 “Regolamentazione del fenomeno della prostituzione” , presentato dalla senatrice PD Maria Spilabotte e firmato anche da Alessandra Mussolini , disegno di legge che raccoglie bipartisan sostegni insospettabili quanto anacronistici … ma, per fortuna e per autentico convincimento, non anche quello delle nostre ospiti e padrone della magnifica serata “Autodeterminazione o mercificazione, un dibattito sulla strumentalizzazione del corpo delle donne”, tenutasi allo Stabilimento Monaco.

Anzi, la Fidapa con tutte le sue referenti, dalla “combattente” Lella Condorelli che leggerà i saluti di Lucia Chisari e soprattutto con la sua Presidente Dina Palmeri, nella duplice veste di moderatrice e di “voce narrante” prestata alle lettere inviate 59 anni fa dalle donne delle “case chiuse” alla senatrice Lina Merlin, tutte riprendono con forza gli argomenti della “prismatica” relazione di Graziella Priulla, già prof.ssa di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi" presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Catania, ma da sempre scrittrice e interlocutrice della Rete delle Donne.

Invero, dopo la presentazione dell’argomento da parte della prof.ssa Angela Giardinaro, presidente provinciale UCIIM, la nostra saggista Graziella Priulla dapprima dipana la questione non solo simbolica del controllo sociale delle donne che da sempre si fonda sul controllo della sessualità, poi ristabilisce una connessione con Freud nell’individuare nell’esercizio del potere e del dominio il vero significato della ricerca ossessiva compulsiva da parte dei “clienti” del sesso a pagamento, poiché è certamente nel voler fuggire dal legame emotivo il nuovo tabù della relazione tra individui che compendia il non saper rendere conto di possibili defaillance e rifiuti, incapacità di cui “l’utilizzatore finale” può essere facilmente corredato, il quale solo nell’asimmetria di una prestazione in denaro appaga le pulsioni distruttive , infine, la relatrice snocciola con spaventosa precisione i numeri aberranti e non troppo reclamizzati del colossale “affaire” mondiale dello sfruttamento dello prostituzione, la vecchia e mai scalfita tratta delle donne, questa sì, antica come il mondo.

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La strada arruola un esercito di 70.000 persone, dice il governo, 120.000 secondo don Benzi, composto per metà di straniere per la Caritas sono 26/30.000 ogni anno, alla luce del sole come le nigeriane o invisibili come le cinesi, per 1/3 composto dai richiestissimi transessuali, spesso da minorenni, il 20% stimano il gruppo Abele e Save the Children, registrati anche da un’impennata delle dei procedimenti giudiziari legati alla prostituzione minorile aumentata del 442% rispetto al 2013. Il 60-80% delle lavoratrici fa regolarmente esperienza di abusi fisici, l’80% dei clienti pretende rapporti non protetti, meno del 5% di questo esercito si prostituisce per libera scelta. Il tasso di mortalità delle persone coinvolte nella prostituzione è sei volte più elevato di quello del resto della popolazione. Il giro d’affari, spesso collegato al mercato della droga, va da 5 a 7 miliardi di euro, per lo più riciclati in paradisi fiscali, controllati da mafie che godono di ampia impunità: italiana, cinese, rumena, albanese, ucraina, kosovara, nigeriana.

In realtà le proposte che cercano di legalizzare lo sfruttamento della prostituzione avvantaggiano solo i magnaccia e fanno aumentare il numero delle ragazze vittime della tratta, infine realizzano una doppia morale ipocrita in cui la salvaguardia dell’urbano “decoro” si sostanzia nell’esercizio del meretricio lontano dagli occhi delle persone “perbene”.

E di quest’ultimo aspetto inerente proprio la questione urbanistica ed il legame con il territorio abitato, stavolta quello della vicina “raggiante Catania”, dalla definizione del noto romanzo dello scrittore e giornalista Domenico Trischitta, troviamo la testimonianza dolente e realistica dello stesso autore teatrale che, ospite a Misterbianco, in questo contesto racconta lo scempio della vera e propria “deportazione” subita dagli abitanti di San Berillo vecchio, noto quartiere tra Piazza Stesicoro e il nuovo porto attraversato da strade ortogonali tra loro e assai strette senza alcun collegamento diretto con la stazione dei treni. La zona anticamente era l’approdo naturale di molte compagnie teatrali che lì soggiornavano e la radicata cultura machista e fascista ne aveva fatto, anche, un fiorente quartiere di case chiuse. Proprio dopo la lettura ispirata di alcuni brani del libro “Una Raggiante Catania” mirabilmente proposta dall’attore Gianni Zuccarello, seguita dalla finissima esecuzione con chitarra acustica di alcuni brani di Antonio Lauro ( El Negrito e Vals Venezuelano n.2) del giovanissimo Arlindi Dimo, il nostro Trischitta ricorda, autobiograficamente, lo spaesamento di circa 30.000 persone, tra cui il padre, che a partire dal febbraio 1957 verranno trasferite letteralmente in zona San Leone, il nuovo quartiere nell’area di Corso Indipendenza, in cui si concentreranno i cosiddetti "deportati di San Berillo".

Dopo lo sventramento, a fini ricostruttivi, a testimonianza di quell’area di case popolari basse e corti centrali che costituiva la notissima “zoning” a luci rosse, quartiere che compete tutt’ora con Genova (vedi Via del Campo di “de andreiana” memoria) per vastità e concentramento di prostituzione, ma un tempo vivificato da piccole attività soprattutto artigianali ormai sradicate dai legami con le famiglie produttive, rimangono, quasi a richiamo turistico, alcune note figure di trans, ragazze di vita, che vengono, forse strumentalmente, ancora sfruttate anche con operazioni pseudo intellettuali.

La serata si conclude con numerosi interventi dal pubblico, soprattutto degli uomini presenti, dall’assessore alla cultura Beppe Condorelli, all’assessore allo sport ed alle politiche giovanili Federico Lupo anche come responsabile di una casa famiglia, al portatore “insano” di teorie finto-evoluzioniste sulla perdita dell’estro della donna da cui deriverebbe la storia della prostituzione già in era preistorica (sic!), oltre a quello della dottoressa Benedetta Santonocito che ricorda episodi di vita professionale legati al quartiere per la vicinanza all’Ospedale Santo Bambino, fino ai ringraziamenti per la preziosa serata da parte della prof. Josè Calabro, esponente dell’U.D.I. che ricorda il prossimo “Donne in cerchio“, iniziativa delle donne in rete di Misterbianco per riscriverne la storia.

Anna Bonforte

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